Il tempo del coronavirus è un tempo per credere, un tempo per avere fede perché ne abbiamo bisogno, perché la fede può diventare veramente una risorsa

Messaggio per la IV domenica di Quaresima

 

 

 

Il tempo del coronavirus è un tempo per credere, un tempo per avere fede perché ne abbiamo bisogno, perché la fede può diventare veramente una risorsa. Allora vorrei che insieme riflettessimo su cosa significa avere fede e soprattutto che cosa significa avere fede in questo tempo, in questa prova che stiamo vivendo. La fede è innanzitutto un’esperienza umana. La parola fede vuol dire fidarsi, avere fiducia, dare credito a qualcuno. Ciascuno di noi sperimenta di essere limitato, di non bastare a sé stesso, allora è un’esperienza che facciamo continuamente quella di fidarci degli altri. Per vivere abbiamo bisogno di fare affidamento, di dare credito a qualcuno, in particolare affidarci e dare credito a quelle persone che sono importanti per noi, pensiamo ai nostri genitori, ai nostri insegnanti, ai medici, ai nostri responsabili nel lavoro e nella società. La fede, anche dal punto di vista religioso, parte proprio da questa esperienza umana fondamentale che tutti facciamo.

Ma la fede in senso religioso è un’esperienza molto più coinvolgente perché ci chiede che ci affidiamo con tutto noi stessi, che coinvolgiamo tutta la nostra vita.

La fede è un’esperienza umana ma è anche un’esperienza cristiana. Per i cristiani la fede è rispondere ad una iniziativa di Dio, ecco non siamo noi che prendiamo l’iniziativa di credere è Dio che ci raggiunge con la sua Parola e la fede è la risposta che noi diamo alla Parola di Dio.

Questo è molto evidente nella vicenda di Abramo, il Padre di tutti i credenti, il primo che ha avuto fede in Dio. Nella sua storia che la Bibbia ci narra nel Libro della Genesi, vediamo come Abramo viene raggiunto da una chiamata di Dio. Dio gli parla, si fa conoscere, gli fa una promessa, la promessa di una terra, di una discendenza e Abramo obbedisce, dà la sua risposta, si mette in cammino verso l’ignoto fidandosi di Dio.

Ecco per i cristiani la fede ripete questo schema. Dio ci raggiunge con la sua parola e noi gli rispondiamo fidandoci di Lui, ci mettiamo in cammino mettendo lui a fondamento della nostra vita. Ecco la fede per noi non è aderire ad una teoria, non è una sapienza umana, non è una ideologia, la fede è lasciarsi coinvolgere in una relazione d’amore con un Dio che ci parla, che diventa un “tu” con il quale possiamo dialogare, confrontarci e anche lottare.

La fede ci fa sentire amati, la fede ci libera dalla solitudine e dall’angoscia, la fede ci dispone ad accettare noi stessi e ad amare gli altri, la fede ci da il coraggio di sfidare l’ignoto.

Ecco fin qui abbiamo cercato di capire cosa vuol dire avere fede, avere fede anche come cristiani, ma adesso proviamo a vedere cosa vuol dire avere fede in questo tempo, al tempo del coronavirus. È un tempo di prova in cui anche noi ci chiediamo: “Ma Dio dov’è, che cosa fa? Perché non ci ha risparmiato da questa malattia? Perché non ci ha salvati, liberati da questo virus? Allora possiamo avere l’impressione che sia difficile avere fede, perché Dio ci sembra assente proprio quando ne avremo più bisogno. Ecco io vorrei invitarvi a cambiare la prospettiva Dio c’è, Dio è presente, è vicino a noi, ma siamo noi che abbiamo bisogno di una fede più grande per conoscerlo, per fidarci di lui.

Nella fede c’è sempre questo confronto, questa lotta tra assenza e presenza di Dio. Noi abbiamo bisogno di una fede più grande per affrontare questo tempo, una fede che nasce da una conoscenza più profonda di Dio, una fede che nasce da confronto più serrato più perseverante, più insistente con Lui.

Una fede, in altri termini, che cresce con la nostra preghiera. È la preghiera che ci mette veramente a contatto con Dio e ci aiuta a scoprire che Lui è vicino anche quando ci sembra sia assente.

Abbiamo bisogno di una fede più grande e la preghiera ci aiuta a far crescere la nostra fede, ne abbiamo un esempio anche nei Salmi, queste preghiere che la Bibbia ha raccolto e che ci propone come modello, come scuola, per la nostra preghiera.

Vorrei concludere questa conversazione con voi proprio proponendovi per la lettura di un salmo, in cui l’orante si rivolge a Dio dal profondo delle proprie sofferenze delle proprie tribolazioni.

Uniamoci anche noi a questa preghiera e facciamola nostra per poter sperimentare la presenza di Dio anche dentro la sua apparente assenza.   

 

Dal profondo a te grido, o Signore; 
Signore, ascolta la mia voce. 
Siano i tuoi orecchi attenti 
alla voce della mia supplica.
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia, 
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore 
più che le sentinelle all’aurora.
Più che le sentinelle l’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia 
e grande è con lui la redenzione.

(Dal Salmo 129)