Card. Bassetti: accogliere e costruire la pace, con uno sguardo nuovo

Pubblichiamo il testo dell’Introduzione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, ai lavori della sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente, che si svolge a Roma dal 21 al 23 marzo

Cari Confratelli,

ci ritroviamo insieme mentre alle porte dell’Europa una guerra devastante sta seminando terrore, morte e distruzione. Il nostro pensiero va alle vittime, ai loro cari e a quanti sono costretti a lasciare le proprie case per cercare un luogo sicuro: uniamo la nostra voce a quella del Santo Padre, affinché «in nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi». La nostra voce sale a Dio perché questa «inutile strage» del nostro tempo sia fermata. L’umanità implora un’alba nuova: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Mi 4, 3).
Di fronte alla fuga di milioni di persone, soprattutto donne e bambini, esprimiamo il nostro vivo e sincero ringraziamento a quanti, in Italia e in tanti altri Paesi, sono impegnati a dare forma e anima all’accoglienza. È una testimonianza di carità e di fraternità che diventa impegno concreto per un futuro di pace contro il virus dell’egoismo e dell’indifferenza.

Qual è il nostro sguardo sulla realtà?

In questo senso l’esempio del Padre misericordioso, raccontato nella pagina del Vangelo di Luca (Lc 15,1-32) che verrà proclamato nella prossima domenica di Quaresima, offre alcuni spunti interessanti che possono sostenere la riflessione di queste giornate, a partire dall’atteggiamento dei due protagonisti. Innanzitutto il padre: offre una grande lezione di vita, perché è capace di accettare scelte di autonomia del figlio, che forse egli stesso non condivide, senza tuttavia rinchiudersi nel carapace delle sue idee. Si tratta di un gesto di tolleranza e di pazienza, che somiglia molto all’atteggiamento di Dio Padre che dà tempo ai suoi figli per riconoscere e fare il bene. C’è poi il figlio più giovane, dissoluto e dissipatore, che si ricrede solo a causa dell’indigenza e non di un vero ravvedimento o dal desiderio di ritrovare il padre. Mentre cammina verso la casa paterna, però, la sua mente – possiamo immaginare – è turbata da alcuni interrogativi: come mi accoglierà? Con tanti rimproveri? Mi tratterà come l’ultimo dei servi e mi relegherà a un rango inferiore? Eppure, quando è ancora lontano, il padre lo vede. E il suo non è solo un vedere materiale. Questo sguardo da lontano lascia intendere che egli stesse sempre attento a un potenziale ritorno del figlio: non è ripiegato sugli affari quotidiani. Il padre vede, perché sa guardare. Per questo gli corre incontro: perché ha a cuore quel figlio che si sta stagliando all’orizzonte. Non gli fa domande, non lo incolpa, non rinvanga il passato, ma gli si getta al collo e lo bacia. I gesti del padre mostrano uno stile, indicano un percorso: solo se sappiamo guardare e correre, potremo riconoscere quelle situazioni impreviste di grazia, saremo accoglienti e potremo fare festa. Ecco, allora, l’interrogativo di fondo che interpella tutti, credenti e non credenti, davanti alle tante crisi che purtroppo continuano a consumarsi: qual è il nostro sguardo sulla realtà? Probabilmente, tutti abbiamo bisogno di imparare a guardare come il padre della parabola, in modo da attraversare la superficie delle cose e raggiungere i dolori e le speranze dell’umanità. È quello che ci chiede il Cammino sinodale, in questo tempo dedicato all’ascolto: aprire le orecchie significa accogliere, guardare tutti e ciascuno con la stessa misericordia di cui è stato capace il padre della parabola. Questo percorso, su cui si sono incamminate tutte le nostre Chiese, sta registrando una partecipazione ampia e coinvolgente. Lo Spirito soffia sui nostri territori, muovendo fantasia e creatività, segno di un rinnovato entusiasmo. Di questo, rendiamo grazie al Signore!

Lo sguardo alla crisi internazionale

La grave crisi internazionale che stiamo vivendo per via del conflitto in Ucraina evoca per l’Europa il fantasma di un passato che si riteneva ormai definitivamente archiviato. Invece le bombe, la distruzione, le morti ucraine e russe, la devastazione di queste ultime settimane ci hanno messo di fronte a un pericolo, a una minaccia, sempre in agguato. «Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia!», ha detto Papa Francesco (Angelus, 20 marzo 2022).
Grazie alle testimonianze di giornalisti e operatori della comunicazione, pericolosamente in prima linea per documentare gli accadimenti, ci arrivano le notizie di migliaia di morti, gran parte dei quali sono civili. «Le guerre sono sempre ingiuste. Perché chi paga è il popolo di Dio. I nostri cuori non possono non piangere di fronte ai bambini, alle donne uccise, a tutte le vittime della guerra. La guerra non è mai la strada», ha ribadito il Papa nel colloquio telematico con il Patriarca Kirill.
E siamo raggiunti anche da immagini di una popolazione che, da un giorno all’altro, ha perduto la propria quotidianità, la propria casa, la propria famiglia ed è stata costretta a separarsi dai propri cari, a lanciarsi in una fuga per la salvezza, a rischio della vita. Senza dimenticare le persone fragili, i malati e i minori soli, più vulnerabili che mai, totalmente dipendenti dall’aiuto di qualcun altro. La spinta di solidarietà dei Paesi di confine con l’Ucraina è stata davvero commovente; nessuno ha rinunciato a fare la sua parte. Degli oltre 3 milioni di ucraini in fuga, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, l’80% si trova in Polonia, un’altra gran parte in Romania, Moldavia, Ungheria e Slovacchia. Le Chiese di questi Paesi e degli altri limitrofi si sono adoperate fin da subito per fornire assistenza, beni di prima necessità, alloggi, mezzi di trasporto per raggiungere destinazioni sicure. Sono numerose poi le organizzazioni della società civile, di carattere nazionale e internazionale, che sono intervenute per offrire soccorso e accoglienza, coadiuvate da tantissimi volontari.
Il numero degli sfollati è tuttavia un dato che è destinato ad aumentare e che nel prossimo futuro, se non cesseranno le ostilità, registrerà l’arrivo di persone ancora più fragili e povere di quelle che sono già riuscite a fuggire. Non si può pensare dunque che i Paesi di confine possano sostenere da soli questo impegno umanitario: occorrerà che l’Unione Europea decida di attuare un vero e proprio piano di ridistribuzione dei cittadini ucraini nei vari Stati membri. Stiamo, peraltro, assistendo all’arrivo di profughi anche nel nostro Paese. Nelle prossime ore, alcuni voli umanitari, da Varsavia, giungeranno in Italia, permettendo a centinaia di cittadini ucraini di essere accolti da circa 20 Caritas diocesane del nostro Paese. Sono numeri che cresceranno e che richiederanno un’accoglienza di non breve periodo. «Non stanchiamoci di accogliere con generosità – ha ricordato il Papa (Angelus, 20 marzo 2022) –, come si sta facendo: non solo ora, nell’emergenza, ma anche nelle settimane e nei mesi che verranno. Perché voi sapete che al primo momento, tutti ce la mettiamo tutta per accogliere, ma poi, l’abitudine ci raffredda un po’ il cuore e ci dimentichiamo. Pensiamo a queste donne, a questi bambini che con il tempo, senza lavoro, separate dai loro mariti, saranno cercate dagli “avvoltoi” della società. Proteggiamoli, per favore».
Le nostre Chiese stanno facendo e faranno la loro parte nell’accoglienza e nell’apertura di corridoi per favorire l’arrivo in sicurezza delle persone che sono bloccate nei Paesi di transito, che non riescono più a proseguire il loro viaggio o sono troppo vulnerabili per farlo. Anche questo è un contributo prezioso alla pace. Facciamo nostro l’appello del Concilio Vaticano II, di cui quest’anno ricordiamo il 60° anniversario dall’apertura: «Condannata l’inumanità della guerra», rivolgiamo «un ardente appello ai cristiani, affinché con l’aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento» (Gaudium et Spes, 77).
L’auspicio è che la mobilitazione della comunità politica internazionale possa trovare una soluzione al conflitto, intensificando gli sforzi diplomatici per arrivare alla cessazione delle ostilità e dell’indiscriminata violenza, che rappresentano sempre un passo indietro nel cammino dell’umanità. Ci conforta, in tal senso, la recente esperienza dell’Incontro “Mediterraneo frontiera di pace” vissuto a Firenze dal 23 al 27 febbraio. In queste settimane abbiamo ricevuto diverse lettere dai Confratelli che hanno preso parte all’appuntamento. Tutti segnalano, oltre alla bontà dell’iniziativa, anche l’orizzonte che si è aperto con questo nostro con-venire e con la firma della “Carta di Firenze”. Noi vogliamo costruire la pace: vogliamo farlo per le nostre città, per le nostre comunità religiose, per le nostre famiglie, per i nostri figli. La pace è un valore che non si può barattare con nulla. Perché la vita umana non si compra e non si uccide! Sogniamo e vogliamo la pace tra tutti i popoli. Per questo, venerdì 25 marzo, Festa dell’Annunciazione, ci uniremo con i Vescovi e i presbiteri di tutto il mondo a Papa Francesco che consacrerà la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria: è un ulteriore segno della misericordia di Dio che, al contempo, esprime tutta la preoccupazione del Santo Padre per questa situazione estremamente pericolosa per l’umanità intera.
Sappiamo che la pace nasce anzitutto nel cuore di ciascuno, dalla volontà di accompagnarsi reciprocamente nel cammino della vita, di stringere relazioni fondate sulla fraternità. In questo senso le Chiese, in ogni angolo del mondo, possono svolgere un ruolo insostituibile per l’edificazione di una vera pace, che ponga al centro dell’attenzione la dignità umana, il rispetto dei diritti, delle libertà di ogni persona e della vita, la costruzione di comunità solidali e aperte.

Lo sguardo alla società italiana

L’orrore del conflitto, che sta stravolgendo l’esistenza della popolazione ucraina, trascina nel suo vortice tutto il mondo, con un rovinoso effetto domino sull’andamento globale. «Tutto è connesso»: il ritornello, che attraversa l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e che spesso abbiamo ripetuto in questi due anni di pandemia, rivela ancora una volta tutta la forza della sua verità. Siamo interdipendenti, tanto che se vogliamo affrontare i problemi sociali dobbiamo affrontare anche quelli ambientali e viceversa. Solo pensandoci all’interno di un’unica famiglia umana possiamo raccogliere le sfide del nostro tempo e generare speranza di futuro. L’impatto sconvolgente della guerra, infatti, ha colpito la società italiana in un momento in cui sembrava potersi concretizzare il desiderio collettivo di una stagione di ritrovata serenità, avvalorata dai numeri di una ripresa economica eccezionalmente intensa e dal progressivo superamento delle misure anti-Covid. La crisi energetica e l’aumento generalizzato dei prezzi stanno invece pesando in misura considerevole sull’andamento dell’economia e sulla vita concreta delle famiglie, già duramente provate dalle conseguenze della pandemia. Del resto, l’esperienza ci dice che la crescita economica è certamente una leva di fondamentale importanza per la ripresa complessiva del Paese, un presupposto ineliminabile, ma le sue ripercussioni sulla società non sono automaticamente virtuose. Un sintomo rilevante è rappresentato dal fatto che nel 2021, a fronte di un’avanzata impetuosa del Prodotto Interno Lordo, il numero delle persone in povertà assoluta sia rimasto sostanzialmente stabile e su livelli allarmanti.
Anche sul versante demografico i dati sono ancora una volta negativi, per l’effetto combinato delle morti per Covid – una tragedia che sarebbe intollerabile archiviare con superficialità e non solo perché il virus non è affatto domato – e dell’ennesimo minimo storico delle nascite che per la prima volta si sono fermate sotto la soglia emblematica delle 400mila unità. È confortante la notizia delle prime erogazioni dell’assegno unico per i figli, un provvedimento lungamente atteso che in prospettiva potrebbe contribuire in modo significativo ad arginare questa deriva e che andrebbe integrato con altre misure non solo economiche. Occorre tuttavia essere consapevoli che un’inversione di tendenza non sarà possibile senza un salto di qualità sul piano culturale. Purtroppo il clima sociale appare ancora profondamente segnato dai contraccolpi della pandemia a cui si sono da ultimo sovrapposte le angosce provocate dalla guerra. È necessario quindi che a tutti i livelli, da quello educativo e della comunicazione, a quello politico e giuridico, si diano risposte all’insegna della responsabilità e della solidarietà. Non è il tempo per effimere scorciatoie. Bisogna rifuggire la tentazione di strumentalizzare il disagio per interessi ideologici e occorre invece adoperarsi per ricucire e pacificare il tessuto delle relazioni umane e civili, con un’attenzione speciale per i più piccoli e i più fragili.
Proprio nell’ottica di questa premura, la Chiesa che è in Italia continua a procedere con passi decisi e convinti nella tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Quello degli abusi è un fenomeno che interpella nel profondo ciascuno e che non permette di abbassare la guardia. Ma, a tre anni dall’emanazione delle rinnovate linee guida, incentrate sulla garanzia per le vittime, e dalla costituzione del Servizio nazionale, è possibile dire che la rotta è tracciata e ben salda. Non solo vi è una rete di Servizi che tocca ogni Diocesi italiana, ma con l’istituzione capillare di Centri di ascolto, diocesani e interdiocesani, sono stati resi disponibili luoghi dove – con persone formate e competenti in grado di accogliere, comprendere e confortare – viene esercitata l’accoglienza autentica delle vittime. Grazie a una formazione sempre più diffusa, inoltre, è possibile parlare oggi di un aumento globale della consapevolezza in ogni membro della comunità ecclesiale, di una cultura rivolta sempre più alla riparazione che al nascondimento, di una tensione alla verità e alla giustizia che non lascia indietro nessuno. In tal senso prosegue il cammino di discernimento e impegno per comprendere cosa è accaduto e perché, così da implementare ogni possibile attività di prevenzione e di tutela dei minori e delle persone vulnerabili all’interno della Chiesa.
E ancora: sono da accogliere con sollievo la sentenza e le motivazioni con cui la Corte Costituzionale ha respinto il quesito referendario sull’omicidio del consenziente, mentre c’è da sperare che nel corso dell’iter parlamentare la proposta di legge sul fine vita riconosca nel massimo grado possibile il principio di «tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». La Chiesa conferma e rilancia l’impegno di prossimità e di accompagnamento nei confronti di tutti i malati, invocando maggiore attenzione verso coloro che, in condizioni di fragilità o vulnerabilità, chiedono di essere trattati con dignità e accompagnati con rispetto e amore. Ed insieme auspica un “nuovo metodo di partecipazione” rispetto a queste tematiche: il dialogo e il confronto sono le strade maestre per evitare derive ideologiche con cui si smarriscono il valore e la dignità della persona.

Quale contributo del popolo di Dio nella storia di oggi?

I diversi eventi della storia in questo tempo ci invitano a rileggere in chiave propositiva ciò che la società sta vivendo. Quando si parla di società spesso si pensa a un’entità separata dalla vita dei cristiani, invece i cristiani fanno parte della società in cui sono immersi e, quindi, sono chiamati a verificare anzitutto il proprio stile di vita evangelico assunto nella quotidianità.
Il popolo di Dio dà forma alla fede non solo quando prega nel tempio, ma anche quando i credenti qualificano evangelicamente la loro testimonianza, frutto della relazione con il Signore. Durante la narrazione della fede, l’uomo e la donna comunicano l’opera che Dio compie nella loro vita e la loro risposta operativa nell’oggi che rende visibile la presenza dello Spirito sulle strade del mondo. Si impegnano ad avere sempre presente la meta da raggiungere, a vivere Cristo e il Vangelo, a camminare insieme, incarnando i valori evangelici laddove si trovano, insieme e accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, anche non credenti, desiderosi comunque di edificare una società di giustizia, di pace, di accoglienza. I cristiani, che non costituiscono un’associazione separata dagli altri, sono inviati ancora oggi da Gesù ovunque, per incarnare il Vangelo portando la gioia, la speranza e l’esperienza di comunione. La scelta di vivere come Cristo alimenta la speranza nel loro cuore, perché essa si realizza nella misura in cui la persona orienta tutte le risorse, anche nei tempi difficili, verso il progetto evangelico che diventa realtà nel quotidiano.
In questo tempo in cui la pandemia e la guerra in Ucraina fanno sentire tutta la precarietà e la fragilità, i credenti sono chiamati a condividere la bellezza della vita umana abitata dallo Spirito del Signore, a dare corpo alle relazioni reali, a concretizzare nel quotidiano il senso dell’esistenza del cristiano: dare la propria vita nella gratuità come Gesù.
Il popolo di Dio ha nel cuore il desiderio di incontrare gli altri, senza preferenza di persona, ed essere riflesso di comunione in ogni luogo, perché fratello o sorella di tutti e, insieme, figli dell’unico Padre. Nella vita personale rimanda costantemente allo sguardo amoroso di Dio che abbraccia non solo i credenti, ma tutti i viventi della terra. L’uomo e la donna di fede si mettono in ascolto di ogni persona che incontrano, in atteggiamento di accoglienza incondizionata dell’altro, soprattutto dei più fragili. Scelgono, con la postura del pellegrino, di essere in comunione, operando con delicatezza e umiltà con le Chiese sorelle e le altre religioni, e anche con coloro che, pur professandosi lontani dalla fede, vivono valori profondamente umani.
Un contributo a tutto campo, quello del popolo di Dio, per custodire la vita, dono del Signore, in ogni sua espressione e testimoniare che Dio si prende concretamente cura dell’umanità.

Cari Confratelli, affidiamo queste giornate di collegialità e comunione all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante Patroni delle nostre Chiese.