Azione liturgica del Venerdì Santo

19-04-2019

In questi giorni siamo stati tutti colpiti dall’immagine della grande croce posta nell’abside della Cattedrale di Notre Dame di Parigi, devastata da un terribile incendio. Un’immagine dalla grande forza simbolica, che in chi crede ha richiamato la fede nel valore salvifico della croce del Signore Gesù. La croce sta a dirci che anche di fronte al male più grande, perfino davanti alla morte, c’è una via di salvezza, una via che non ci porta fuori dal male e dalla morte, ma che dentro l’esperienza della sofferenza e del dolore ci apre alla vita.
E’ questo il percorso di Gesù nella sua Pasqua: questa sera siamo chiamati a contemplare il passaggio più difficile: difficile non solo perché vorremmo sempre stare lontani dalla sofferenza, ma anche perché un Dio che soffre e muore umanamente è un assurdo e già Paolo ne parlava come «scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani». Dentro di noi vorremmo passare oltre ed essere già arrivati al mattino di Pasqua, ma che Pasqua sarebbe la nostra se non avessimo seguito Gesù fino al Calvario, se non avessimo almeno tentato di entrare nell’abisso della Passione e della morte di Gesù?
Le letture che abbiamo ascoltato ci guidano a entrare nel significato salvifico della croce di Gesù. Già nella prima lettura il Servo di Jahvé, figura che anticipa quella del Cristo, viene presentato come colui che «avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente» nonostante il suo aspetto sfigurato al punto da non essere riconosciuto come un essere umano. La sua gloria si manifesta nell’affrontare il male con pazienza e mitezza (come agnello condotto al macello …. come pecora muta…), nell’affrontare le ingiustizie di ogni sorta soffrendo da innocente, nel farsi carico in piena libertà delle colpe e delle iniquità altrui. La luce che vedrà «dopo il suo intimo tormento» è la luce che emerge con forza da questa notte oscura e che irradia il suo splendore proprio nelle tenebre più fitte.
La tradizione cristiana ha sempre letto nella figura del Servo di Jahvè il destino di passione e di gloria del Signore Gesù. Il racconto di Giovanni ci presenta la passione nella stessa ottica: Gesù ci appare come un uomo sovranamente libero che va incontro consapevolmente alla passione sapendo già che cosa gli accadrà. Ciò è evidente nella scena della cattura nell’orto degli ulivi e poi nel processo davanti a Pilato: con una sorta di capovolgimento delle parti è Gesù il vincitore, colui che giudica e il vero re. Anche l’iscrizione che Pilato fa porre sulla croce, che nelle sue intenzioni doveva essere segno di scherno, diventa una dichiarazione della regalità di Gesù: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».
Anche la croce diventa un trono regale: è davvero «il trono della grazia» come si esprime la lettera agli Ebrei nel brano della seconda lettura, quel trono dal quale «colui che è stato trafitto» fa sgorgare con abbondanza i doni del suo esercizio regale: il sangue della sua vita data in sacrificio per la salvezza del mondo e l’acqua feconda dello Spirito Santo consegnato definitivamente all’umanità intera.
Fra poco anche noi ci accosteremo a questo trono regale che è la croce del Signore: è un gesto non soltanto di compassione verso tutti i crocifissi della storia, ma soprattutto un gesto di adorazione che deve esprimere la nostra fede che non c’è salvezza senza abbracciare la croce uniti al Signore Gesù. Non si cambia il mondo con un di più di violenza e di morte, solo l’amore, il dono di sé il sacrificio sconfiggono il male che affligge l’umanità e fanno germogliare una vita nuova.