NATALE DEL SIGNORE – MESSA DELLA NOTTE e MESSA DEL GIORNO

Rovigo, Duomo-Concattedrale
25-12-2018

MESSA DELLA NOTTE

La nascita di un bambino è un evento che fa parte della normalità della vita (anche se in un tempo di decremento demografico come il nostro diventa meno frequente) e porta sempre con sé un messaggio di fiducia e di speranza. Ma la nascita che celebriamo in questa notte santa porta ben altri motivi di gioia.

Il profeta Isaia parla di un bambino «nato per noi», di un figlio «dato per noi», portatore di un potere grande e singolare. La sua sovranità viene definita con quattro titoli assai significativi: «Consigliere ammirabile», «Dio potente», «Padre per sempre», «Principe della pace». La sua nascita è descritta come il sorgere di una grande luce che sarà motivo di grande gioia per il popolo smarrito che si trova nelle tenebre.

San Paolo nella seconda lettura spiega che con la nascita di questo bambino «è apparsa nel mondo la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini».

Il Vangelo di Luca dopo averci mostrato un bambino come tutti gli altri, bisognoso di cure e di attenzioni, riferisce l’annuncio degli angeli ai pastori, annuncio che indica in quel bambino il Salvatore, il Cristo Signore, colui che compie l’attesa del popolo di Israele e porta una grande gioia.

Il paradosso del Natale sta tutto in questo contrasto: la grandezza di ciò che viene annunciato (gioia, pace, giustizia, salvezza) e la debolezza di un bambino. In una prospettiva umana solo chi è forte, ricco, potente può portare pace e salvezza. Dio ha rovesciato con il Natale di Gesù tutte queste false certezze degli uomini: cosa c’è di più debole e indifeso di un bambino? Eppure questo è il segno che Dio ci dà: un bambino in una mangiatoia. E’ questa una novità che dà speranza ai poveri della terra, ai derelitti, agli abbandonati, a chi non conta nulla. Davvero il bambino nella mangiatoia porta una gioia per tutto il popolo: non tutti in questo mondo possono essere forti, sapienti, ricchi, ma tutti invece possono diventare umili e semplici.

Sono proprio i pastori, persone semplici e povere, a riconoscere per primi Gesù come il Salvatore.

Non è affatto scontato accettare il paradosso del Natale perché obbliga a rovesciare i nostri criteri umani. Come è possibile che la gloria di Dio si manifesti in un bambino, la creatura più fragile e indifesa? Come può Dio donarci la sua salvezza, affermare la pace e la giustizia sulla terra servendosi di ciò che è debole e povero? Non solo la sua nascita, ma tutta la vita di Gesù ci rivela che Dio sceglie i poveri, gli umili, i piccoli per realizzare misteriosamente il suo disegno di salvezza.

Comprendere il Natale nel suo vero significato non è affatto facile: solo chi rimane in un atteggiamento superficiale può pensare al Natale come ad una festa facile, intrisa di buoni sentimenti e di qualche gesto di bontà. Vivere il Natale è impegnativo perché chiede una conversione profonda: solo chi mette da parte il proprio orgoglio, può accettare un Dio che si fa bambino e sperimentare la grande gioia annunziata dagli angeli.

L’augurio che ci scambiamo in questa notte santa è di riuscire anche noi a farci piccoli e umili per incontrare quel Dio che per venirci incontro si è fatto Lui per primo piccolo e povero.

 

MESSA DEL GIORNO

Nel messaggio di auguri inviato alla Diocesi ho suggerito di non fermarsi a “fare” il presepio, ma di sforzarsi ad “entrare” nel presepio: con questa espressione “entrare nel presepio” intendo la ricerca del significato profondo dell’evento del Natale a partire dalla domanda “Chi è il bambino che giace nella mangiatoia?”.

Le letture della messa cosiddetta “del giorno” (dopo quella della notte e dell’aurora) ci aiutano a rispondere a questa domanda, collocando la scena della natività, ben rappresentata nei nostri presepi, nel contesto della storia della salvezza. E’ come se si aprisse un sipario e dietro al Bambino del presepe si svelasse un orizzonte sconfinato, che giunge fino all’inizio del mondo.

“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” queste parole del prologo del Vangelo di Giovanni ci dicono che il Bambino del presepe è il Verbo (cioè la Parola) di Dio che da sempre è nel Padre. Questa Parola non è una forza oscura, ma è una persona, il Figlio, come ci spiega la lettera agli Ebrei nella seconda lettura e per mezzo del Figlio Dio ha creato il mondo. Il Verbo dunque è una Parola creatrice, che uscita dalla bocca di Dio ha plasmato tutto ciò che esiste e lo mantiene nell’esistenza: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”.

Questo movimento da Dio verso l’umanità, raggiunge la sua pienezza nell’incarnazione: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Questa venuta nel mondo produce però una separazione tra chi accoglie il Verbo e chi lo rifiuta: il dono che Dio fa di se stesso mette a nudo il cuore degli uomini e porta alla luce le loro intenzioni nascoste.

Possiamo a questo punto rispondere alla domanda da cui siamo partiti: il Bambino del presepe è il Dio fatto uomo, è Dio che si è reso visibile. Incontrando lui possiamo incontrare Dio: «Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato»

Gesù di Nazareth non è solo uno dei grandi spiriti dell’umanità: è il Figlio che ci fa conoscere il Padre. Di fronte a lui dobbiamo scegliere: accoglierlo e avere la vita da una parte, rifiutarlo e rimanerne esclusi dall’altra. Il Natale ci ripropone questa scelta, ci chiede di uscire dalla superficialità e dall’indifferenza, di prendere sul serio un Dio che ci viene incontro fino al punto di condividere la nostra condizione umana.

La novità inaudita del Natale sta proprio qui: Dio che si è fatto veramente uomo: potremmo dire, con il linguaggio suggestivo di papa Francesco, che non possiamo più pensare a Dio senza carne, cioè estraneo all’umanità. La “carne” di Dio è la “carne” degli uomini. Per questo «L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio nella sua incarnazione ci ha invitati alla rivoluzione della tenerezza» (EG n. 88).

Dal Natale nasce non soltanto una nuova relazione degli uomini con Dio, ma le relazioni stesse tra gli uomini sono chiamate a una conversione profonda. Accogliere Gesù significa allora andare verso gli altri uomini, riconoscere in loro il volto di Gesù.