Mons. Vescovo incontra il mondo del lavoro

Giovedì 27 Aprile alle ore 18.00 presso la ditta DaviPlant di Lusia

 

Cari amici,
riprendiamo dopo la pausa per il covid 19 la consuetudine, in preparazione alla festa del 1° maggio, di un incontro del Vescovo con il mondo del lavoro all’interno di un’azienda del nostro territorio.

Lo stile di questo appuntamento è quello di ogni incontro tra persone: l’ascolto e la conoscenza reciproca, a cui, come credenti, aggiungiamo il dono della preghiera.

Ci sentiamo in sintonia con la Chiesa italiana che si fa presente alla festa del 1° maggio attraverso un messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro e la pace dal titolo «Giovani e lavoro per nutrire la speranza». Vorrei citare un brano di questo messaggio perché mi sembra esprima bene l’atteggiamento con cui, a nome della nostra Chiesa di Adria-Rovigo, siamo qui questa sera: «Per porre rimedio a questa crisi epocale, nello spirito del Cammino sinodale, desideriamo condividere percorsi di vera dignità con tutti. Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare. Ci impegniamo a condividere la bellezza e la fatica del lavoro, la gioia di poterci prendere davvero cura gli uni degli altri, la fatica dei momenti in cui gli ostacoli rischiano di far perdere la speranza, i legami profondi di chi collabora al bene in uno sforzo comune».

Il tema scelto dalla Cei per il 1° maggio di quest’anno mi sembra particolarmente attuale anche per il nostro territorio polesano, soprattutto nel legame che stabilisce tra il lavoro dei giovani e il futuro. Nel Polesine, per le sue caratteristiche geografiche e socioeconomiche, abbiamo visto in questi anni accentuati in modo esponenziale processi quali lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione comuni a tutto il resto dell’Italia. Particolarmente forte è il fenomeno dell’emigrazione giovanile, in modo particolare dei giovani laureati, che cercano in altre parti d’Italia e all’estero un’occupazione che risponda alle loro competenze e alle loro aspettative. L’Italia da tempo non è più un «paese per giovani» e, cosa che fa pensare, non lo sono neppure le regioni più ricche (il nostro Veneto è al secondo posto dopo la Lombardia per giovani emigrati). Nel Rapporto «Italiani nel Mondo 2022» redatto da Caritas italiana e Fondazione Migrantes ho trovato delle riflessioni molto pertinenti su questo fenomeno: «Il triplice rifiuto percepito dai giovani italiani – anagrafico, territoriale e di genere – incentiva il desiderio di estero e soprattutto lo fa mettere in pratica. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione “espatrio”. Una mobilità giovanile che cresce sempre più perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità; ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo. (…) È da tempo che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio Paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove. La via per l’estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità, lavoro, genitorialità, ecc.). E così ci si trova di fronte a una Italia demograficamente in caduta libera se risiede e opera all’interno dei confini nazionali e un’altra Italia, sempre più attiva e dinamica, che però guarda quegli stessi confini da lontano».

Questa problematica non è sfuggita allo sguardo attento e partecipe del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in occasione della presentazione del citato Rapporto così scriveva al Presidente della Fondazione Migrantes, mons. Giancarlo Perego: «A partire sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie. Il fenomeno di questa nuova fase dell’emigrazione italiana non può essere compreso interamente all’interno della dinamica virtuosa dei processi di interconnessione mondiale, che richiedono una sempre maggiore circolazione di persone, idee e competenze. Anzitutto perché il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale. Ma anche perché in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio. Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia».

Queste considerazioni valgono anche per il nostro territorio. La provincia di Rovigo è la terza in Italia per numero di laureati dai 20 ai 24 anni (12,4%), i quali però non riescono a trovare collocamento all’interno dei confini provinciali: la disoccupazione giovanile dai 16 ai 35 si attesta al 12,5%, cioè sopra la media del nord Italia (dati Istat 2021). E’ sotto gli occhi di tutti poi come i nostri giovani, soprattutto quelli che eccellono nello studio (e dobbiamo dire che sono molti!) cercano la loro realizzazione professionale in altre parti d’Italia e anche all’estero e difficilmente, una volta maturata un’esperienza significativa, ritornano in Polesine. Ne deriva un impoverimento della nostra terra, privata delle sue energie migliori e di conseguenza di una prospettiva per il futuro.

Siamo tutti consapevoli di trovarci di fronte ad una questione di dimensioni colossali, ma non possiamo rassegnarci ad assistere impotenti a questa progressiva decadenza, dove l’aspetto demografico si intreccia con quello economico e sociale. Da dove partire allora?

Mi sembra che il primo passo da compiere sia una riflessione seria sul tipo di sviluppo che riteniamo utile al nostro territorio, in sintonia con la sua storia e la sua conformazione. Per uno sviluppo vero non basta portare una qualche attività industriale, purchessia, magari attirandola con l’attrattiva di facilitazioni fiscali o di altro genere. Il rischio è di ritrovarci con attività economiche che sfruttano il territorio, più che promuoverlo e che sono pronte a lasciarlo non appena viene meno il vantaggio economico che aveva indotto a insediarsi in Polesine, lasciando aree e infrastrutture vuote e destinate ad un inesorabile degrado. Abbiamo bisogno invece di promuovere attività che siano legate a questo territorio e che non necessitino semplicemente di manodopera a buon mercato ma che abbiano un profilo innovativo capaci di costituire delle filiere produttive e di attrarre le competenze professionali e scientifiche dei nostri giovani. Lo sviluppo di cui abbiamo bisogno inoltre dovrà essere rispettoso dell’ambiente, che va salvaguardato anche per le generazioni che verranno. A questo proposito credo che anche attività legate alla c.d. transizione ecologica vadano attentamente valutate: ad esempio l’uso di terreni agricoli per impianti fotovoltaici non può essere indiscriminato, ma va governato e disciplinato.

Sulla base di queste considerazioni, ritengo significativa la collocazione di questo incontro in un’azienda che ha imboccato una strada di alta specializzazione in un settore, quello ortofrutticolo, che appartiene alla storia e alla conformazione del nostro territorio.

Un secondo passo a mio avviso dovrebbe essere quello di sostenere le risorse imprenditoriali presenti in Polesine, creando una mentalità che storicamente manca in un territorio da sempre votato all’agricoltura, dove non solo l’industria ma anche l’artigianato fatica ad affermarsi.

Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di una Politica (con la p maiuscola) che aiuti tutte le forze vie del Polesine a fare rete e a superare i tanti particolarismi (campanilismi!) di cui soffriamo.

Non è compito del Vescovo scendere in ulteriori indicazioni: la Chiesa locale, condividendo le «gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (Gaudium et Spes 1), intende offrire momenti e spazi di riflessione e di confronto che aiutino la società civile a individuare le strade per «nutrire il futuro» partendo proprio dai nostri giovani.

Si ringrazia https://www.rovigoindiretta.it/