Al termine di questa giornata ciascuno di noi ha ripetuto molte volte l’augurio «Buona Pasqua»: ma che cosa significa questa espressione? Non esprime solo l’augurio di trascorrere bene un giorno di festa, è molto di più, è l’auspicio di compiere un passaggio di liberazione e di rinnovamento. Augurando buona Pasqua diciamo all’altro che desideriamo per lui che riesca ad andare oltre le prove e le sofferenze della vita e che trovi un senso a quanto sta vivendo. L’augurio pasquale allora ha a che fare soprattutto con la speranza: Pasqua e speranza sono due parole fatte l’una per l’altra, l’una contenuta nell’altra. La Pasqua di Gesù, il suo passaggio dalla morte alla vita è il fondamento di una «speranza grande» sulla quale possiamo appoggiare anche le nostre piccole speranze umane.
Perché questo augurio diventi realtà abbiamo bisogno però di fare anche noi un cammino, come lo hanno fatto i primi che hanno creduto nella risurrezione del Signore: le donne, Pietro e Giovanni, i due discepoli di cui parla il Vangelo che abbiamo ascoltato poco fa. In particolare il cammino di questi due discepoli (conosciuti come i «discepoli di Emmaus») può essere descritto come un passaggio dalla «speranza perduta» alla «speranza ritrovata»: un’esperienza quanto mai interessante anche per noi, che ci troviamo continuamente a fare i conti con le delusioni e i fallimenti della vita che smentiscono puntualmente le nostre speranze. Questi due discepoli avevano riposto la loro fiducia in Gesù: Lui era il Messia, l’inviato di Dio a portare sulla terra il suo regno di giustizia e di pace. Ma questa speranza si era infranta di fronte agli eventi di quei giorni: l’arresto, la passione, la morte in croce. «Speravamo….», dicono i due al viandante che si affianca a loro sulla strada del ritorno a casa. In questo verbo c’è tutta la delusione e l’amarezza di chi ha visto smentito ciò in cui sperava. Neppure la notizia del sepolcro vuoto e dell’annuncio che Gesù è vivo fatto dagli angeli alle donne riescono a vincere il loro stato d’animo rassegnato e rinunciatario.
Come ritrovano la speranza i due discepoli di Emmaus? La trovano ripercorrendo le Scritture, guidati dal loro compagno di strada, e maturando una comprensione diversa della passione e morte di Gesù. Al tempo in cui Gesù era vivo in mezzo a loro, i vangeli riferiscono che i discepoli ascoltavano con sconcerto gli annunci della passione, e restavano increduli in particolare sul fatto che la profezia della sua morte violenta concludeva sempre con la previsione di una sua risurrezione. Già durante il cammino verso Gerusalemme Gesù aveva spiegato ai discepoli che quanto diceva e faceva trovava la sua spiegazione nelle Scritture. Sulla via verso Emmaus sono le Scritture la chiave che apre ai due discepoli una comprensione diversa e che li conduce all’incontro con il Risorto e alla fede pasquale. È a questo punto che i due ritrovano la speranza smarrita, come dimostra la loro decisione di ritornare subito, incuranti dell’ora tarda, a Gerusalemme per condividere con gli altri discepoli il loro incontro con il Risorto.
In un tempo in cui le speranze dell’umanità appaiono negate dalla realtà dei fatti, anche noi abbiamo bisogno di ripercorrere la via di Emmaus, la via delle Scritture per scoprire come l’azione potente di Dio non abbandona l’umanità in balia del peccato e della morte. E’ ancora possibile ritrovare la speranza perché Cristo è risorto: è questa la «grande speranza» che sostiene le nostre piccole speranze umane, è questa la «speranza che non delude» capace di sostenere il nostro impegno per un mondo dove regnino la pace e la giustizia, un mondo dove è possibile la riconciliazione tra gli uomini.
Permettetemi di concludere con una citazione di un articolo apparso ieri sul Corriere della Sera, a firma di Aldo Cazzullo, in cui da giornalista e da laico, conclude che solo la speranza fondata sulla fede in Gesù Cristo può vincere la paura: « Oggi che sembra quasi tornato l’Ancien Régime, con pochissimi famelici miliardari (…) che si impossessano della ricchezza delle nazioni, alla fine la speranza non risiede nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale, nella conquista di Marte, e tantomeno nella ridicola mimesi dell’esplorazione spaziale pagata da Bezos alla sua promessa sposa e ai suoi cari. Di fronte alla nostra debolezza, ma anche all’immensità dell’universo e alla meraviglia del creato, ci sentiamo un po’ tutti come Pietro quando, a Gesù che abbandonato dai seguaci gli chiede provocatoriamente “volete andarvene anche voi?”, risponde: “Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”».