La ricorrenza dell’ottavo centenario della morte di San Francesco che celebreremo l’anno prossimo, è preceduta dal ricordo di alcuni eventi dignificativi che hanno segnato gli ultimi anni della sua vita: nel 2023 la redazione della Regola, lo scorso anno le stigmate, quest’anno il Cantico delle Creature che secondo la tradizione sarebbe stato composto dal Santo nella primavera del 2025. Il Cantico costituisce la sintesi della spiritualità di San Francesco e ci fa entrare nel suo rapporto d’amore con Dio, con il prossimo e con tutte le creature. La chiave che ci aiuta a comprendere questa composizione poetica, scaturita dall’animo di Francesco come dono della consolazione divina al termine di un periodo di grandi sofferenze fisiche e morali, sta nelle ultime parole: «Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate, et serviteli cum grande humilitate». Servire il Signore e tutte le creature con grande umiltà: è questo il centro del messaggio che San Francesco ha lasciato ai suoi frati e a tutti coloro che si avvicinano alla sua vicenda di uomo e di cristiano. Per questo il Cantico delle creature è stato definito «il cantico dell’umiltà». Ai suoi frati Francesco diede la consegna di cantarlo prima di iniziare a predicare: ancora oggi ascoltarlo ci fa entrare in un clima di pace e di serenità che nasce dal riconoscerci anche noi creature dell’«Altissimo, onnipotente, bon Signore».
Non è scontato riconoscerci creature, soprattutto oggi che le conquiste della tecnica e della scienza, hanno ingenerato in noi l’illusione di essere onnipotenti, di non avere limiti e di essere arbitri del nostro destino e di quello degli altri. Da questa illusione derivano la prepotenza e la violenza nei rapporti umani, che si esprimono nelle tante guerre che insanguinano la terra, ma anche nelle tante forme di oppressione e di ingiustizia presenti nella nostra società e pure nella nostra vita quotidiana. Se vogliamo vivere nella pace dobbiamo partire dall’umiltà, che è proprio il contrario di ciò che oggi si va affermando sempre più, ovvero la logica della forza, per la quale ha ragione chi è più forte, chi è più ricco, chi esercita un potere, mentre chi è debole, povero, svantaggiato non conta nulla. È l’umiltà che ci permette di incontrare l’altro e di entrare in rapporto con lui: la fraternità infatti si fonda sulla disponibilità all’incontro, alla comprensione e alla cura reciproca. Senza questa disponibilità i rapporti si fanno inevitabilmente conflittuali e l’altro è percepito come nemico e prevaricatore. Ogni giorno dobbiamo decidere con quale sguardo guardare chi è diverso da noi per lingua, provenienza, religione, chi ha idee diverse dalle nostre, chi ci pesta i piedi, chi ostacola i nostri desideri, perfino chi compie il male seminando distruzione e morte. Dobbiamo decidere se vivere in un mondo di nemici e di contrapposizioni («polarizzazioni» come si usa dure oggi) sempre più radicali, o se, come Francesco, vogliamo correre il rischio di andare incontro all’altro e di guardarci negli occhi in cerca di quella scintilla di Dio che c’è in ogni essere umano. A questo proposito c’è nella vita del Santo di Assisi un episodio illuminante: è l’incontro con il lupo di Gubbio. Non sappiamo se si trattava veramente di un animale, o se il termine lupo indica una persona malvagia, un brigante o un malvivente che minacciava la gente di Gubbio. Sta di fatto che Francesco gli è andato incontro e lo ha ammansito convincendolo a vivere in pace. Anche noi possiamo fare altrettanto con i nostri simili, anche quando ci incutono paura e temiamo possano farci del male.
«Servite in humilitate»: quanto bisogno abbiamo di imparare da Francesco questo atteggiamento, come singoli, ma anche come comunità. L’idea che la ragione è sempre del più forte e che chi è debole non conta nulla e non merita le nostre attenzioni non è solo dei potenti che governano il mondo, ma sempre più entra nel nostro modo di pensare e di agire. Ne possiamo avere conferma nel modo in cui affrontiamo il tema della povertà e dell’immigrazione, tema che sta assumendo anche nella nostra città una dimensione crescente e che ci interpella. Perché prenderci cura dei poveri? In fondo è colpa loro se si trovano in una condizione di difficoltà… Perché accogliere gli immigrati? Potevano rimanere nei loro paesi… Noi dobbiamo pensare ai nostri problemi, gli altri si arrangino, non sono dei nostri…. E di qui a vedere nei poveri e negli immigrati non dei fratelli ma un pericolo il passo è breve…
Non è questo l’insegnamento di San Francesco, lui che affrontò il lupo di Gubbio e seppe ammansirlo con lo sguardo d’amore, che nasceva dal suo sentirsi creatura di Dio, ci mostra un’altra strada da percorrere. È bene che ce ne ricordiamo, perché la nostra devozione sia vera e ci porti ad una autentica conversione del cuore: la pace nasce dal cuore!
