MESSA CRISMALE

«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione». Attraverso di lui, il Cristo unto di Dio, l’unzione dello Spirito si trasmette a tutti i battezzati e con un dono particolare raggiunge chi è chiamato ad esercitare il sacerdozio ministeriale, il vescovo e i presbiteri
05-04-2023

La celebrazione di questa sera è unica nel corso dell’anno liturgico perché è il solo momento in cui ci ritroviamo insieme vescovo, presbiteri, religiosi/e e fedeli laici. È unica perché possiamo vivere l’unità della Chiesa diocesana nella ricchezza e varietà dei ministeri e dei carismi, una unità che nasce dal convergere tutti verso la sorgente del nostro essere chiesa: il dono dello Spirito che ci ha consacrati e, come dice il brano dell’Apocalisse, proclamato nella seconda lettura, «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre». Questa sera celebriamo attraverso la benedizione degli oli e la consacrazione del crisma il mistero dell’unzione: l’unzione con l’olio infatti è fin dall’Antico Testamento segno visibile del dono dello Spirito che prende possesso delle nostre persone e le trasforma per affidarci una missione da parte di Dio. Così Gesù si presenta nella sinagoga di Nazareth come l’unto di Dio: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione». Attraverso di lui, il Cristo unto di Dio, l’unzione dello Spirito si trasmette a tutti i battezzati e con un dono particolare raggiunge chi è chiamato ad esercitare il sacerdozio ministeriale, il vescovo e i presbiteri. Così questa sera vogliamo lodare e ringraziare Dio per la triplice unzione:

  • l’unzione con olio di letizia che avvolge Cristo, lo sposo celeste;
  • l’unzione con il crisma che rende i battezzati figli di Dio, rinati dall’acqua e dallo Spirito
  • l’unzione che abilita vescovo e presbiteri a diventare servi di Cristo e della Chiesa.

L’unzione è per la missione: il brano di Isaia ripreso da Gesù nella sinagoga di Nazareth mette in relazione la consacrazione dello Spirito con l’invio per un compito: «… mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, e proclamare l’anno di grazia del Signore».

La missione che scaturisce dall’unzione è portare un lieto annuncio, un annuncio che non si limita alle parole ma che comporta anche gesti concreti di liberazione e di guarigione. È questa la nostra identità profonda, la nostra chiamata. Siamo cristiani, consacrati dallo Spirito per evangelizzare. Sarebbe interessante poterci confrontare sulla consapevolezza che abbiamo di questa chiamata fondamentale ma ancora di più raccontarci le esperienze concrete di annuncio che stiamo vivendo. Potremmo farci questa domanda: con chi nelle ultime settimane, negli ultimi mesi ho avuto modo di parlare di Gesù e di far risuonare nel suo cuore la gioia e la novità del Vangelo?

Più che lamentarci per la diminuzione di chi frequenta le nostre chiese e di chi partecipa alle nostre attività, dovremmo interrogarci su come sappiamo andare incontro alle persone e dire una parola di Vangelo che tocchi la loro vita. Vivendo in un ambiente di antica cristianità, siamo portati a dare per scontato che le persone già abbiamo accolto il Vangelo, cosicché basterebbe risvegliare in loro qualcosa che è già presente, magari facendo appello alla loro responsabilità e cercando di scalfire la loro indifferenza e la loro pigrizia. In realtà non è più così: certo, tutti o quasi, sono battezzati, hanno sentito parlare di Gesù e hanno qualche nozione circa la religione cristiana, chiedono i sacramenti per i loro figli, ma poi se approfondiamo la conoscenza, scopriamo che il Vangelo è estraneo alla loro vita: hanno bisogno che qualcuno lo faccia risuonare nel loro cuore, riesca a dire parole di Vangelo che tocchino la loro vita, intercettando quelle domande profonde di cui loro stessi non hanno piena consapevolezza. Evangelizzare è proprio questo: non è solo portare una dottrina, una conoscenza teorica, è far risuonare una parola che colpisce e attrae e che genera conversione. Noi non siamo più abituati ad evangelizzare, conosciamo la catechesi, che è approfondimento della fede: l’evangelizzazione precede la catechesi e ha modalità e tempi diversi. Abbiamo bisogno di imparare ad evangelizzare e per questo dobbiamo compiere una conversione pastorale, maturando gli atteggiamenti e le disposizioni che ci permettono di incontrare le persone, di ascoltarle e di entrare in dialogo con loro, creando così le premesse per offrire l’annuncio di Gesù, morto e risorto.  Sottolineo questi tre verbi: incontrare, ascoltare, dialogare. La prima preoccupazione non è quella di dire, di predicare, di convincere, quello verrà dopo: anche Gesù si è lasciato incontrare, ha accolto le persone, le ha ascoltate e solo dopo ha parlato e si è rivelato loro come il Salvatore. L’inefficacia di tante nostre iniziative pastorali dipende proprio dal fatto che diamo per scontato che le persone siano già evangelizzate, mentre in realtà devono ancora sentire il primo annuncio. Anche la vita delle nostre parrocchie deve trasformarsi: è ancora pensata per chi ha già accolto l’annuncio, mentre oggi è necessario che ci attrezziamo per accogliere quanti pur essendo battezzati sono estranei ad un cammino di fede e hanno bisogno che suscitiamo in loro il desiderio di seguire Gesù.

L’unzione dello Spirito che chiediamo questa sera è di renderci una chiesa capace di fa risuonare nei cuori degli uomini e delle donne che abitano il Polesine la gioia del Vangelo. Allora la nostra Chiesa vivrà una nuova giovinezza: anche se piccola e povera si arricchirà di nuovi discepoli di Gesù e diverrà madre di nuovi figli.

Abbiamo tutti bisogno che lo Spirito di Dio rinnovi in noi la consapevolezza del dono che abbiamo ricevuto e della missione che ci è affidata. In modo particolare ne abbiamo bisogno noi sacerdoti, io vescovo e voi presbiteri che con me formate il presbiterio diocesano. Le difficoltà e le fatiche del ministero ci mettono alla prova e generano in noi delusione e rassegnazione. Il pensiero di essere mandati ad evangelizzare può aiutarci ad uscire da questo stato d’animo che ci deprime e ci paralizza. Può spingerci a riprendere con fiducia il nostro impegno e la nostra missione: chi evangelizza, proprio perché si pone all’inizio di un cammino, non ha obiettivi su cui essere giudicato e traguardi da raggiungere, ma ha solo la fiducia nella potenza del messaggio che gli è affidato. Anche noi come i nostri fratelli e sorelle laici abbiamo bisogno di cambiare atteggiamento per incontrare persone che non sono più quelle che incontravamo in passato, che non vivono più in un contesto di cristianità e pertanto ci pongono domande diverse. Nel rinnovare tra poco le promesse fatte il giorno della nostra ordinazione mettiamo davanti al Signore la disponibilità a lasciare che l’unzione spirituale ci trasformi e ci renda capaci di far risuonare la buona notizia di Gesù nelle persone che avviciniamo.

Nel contesto di questa celebrazione è bello poter dare un annuncio di gioia. il prossimo sabato 3 giugno la nostra Chiesa diocesana si arricchirà di due nuovi presbiteri e di un nuovo diacono: verranno ordinati presbiteri don Mattia Frigato e don Nicolò Grandesso, nella stessa celebrazione verrà ordinato diacono Simone Finotti, tutti e tre alunni del nostro Seminario. Li accompagniamo con la nostra preghiera e ci prepariamo ad accoglierli come servitori della nostra Chiesa.

 

Vogliamo poi dedicare un pensiero di ringraziamento e di lode al Signore per i presbiteri che quest’anno ricordano un giubileo della loro vita sacerdotale:

70°: don Dante Bellinati, don Benedetto Varliero

65°:  don Orazio Tosi

60°: don Antonio Boccardo, don Francesco Boesso, don Giancarlo Crepaldi, don Torfino Pasqualin, don Mario Turatti, don Valerio Valentini

50°: don Vincenzo Cerutti, don Carlo Marcello, don Graziano Secchiero, don Giorgio Seno

25°: don Alex Miglioli

 

Per la Messa crismale anche la nostra Diocesi, come tutte le diocesi italiane, ha ricevuto quest’anno dalla Polizia di Stato, dell’olio di oliva prodotto dal Giardino di Capaci, con gli ulivi piantati nel luogo della strage del giudice Falcone e della sua scorta. Ringrazio il Questore, presente a questa nostra celebrazione, per questo gesto, che ci sollecita a rinnovare il nostro impegno per educare alla giustizia e alla legalità.

Ricordo infine che quanto verrà raccolto nella colletta che si svolgerà tra poco, sarà destinato alla mensa che avvieremo nei prossimi mesi all’interno del Progetto “Casa della Diocesi”, raccogliendo il testimone dai Frati Cappuccini che sono in procinto di lasciare Rovigo. Come loro per tanti anni hanno aperto le porte del convento ai poveri e bisognosi della città, così anche noi vogliamo aprire loro le porte della casa in cui avranno sede tutti i servizi centrali della Diocesi. In uno spirito di inclusione vorremmo non solo una “mensa per i poveri”, ma una mensa “con i poveri”: perché questo obiettivo si realizzi abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti a cominciare da questa sera.