La veglia di questa sera segna l’inizio del mese missionario straordinario voluto da Papa Francesco per celebrare i 100 anni dell’Enciclica di Benedetto XVI “Maximum illud” e allo stesso tempo l’apertura dell’anno pastorale con la consegna delle lettera pastorale che ho scritto per presentare il tema dell’anno pastorale sintetizzato nella frase “Sogno la Chiesa che verrà”.
Non si tratta di due eventi accostati per un’esigenza pratica, ma di un’unica prospettiva. La Chiesa che verrà è una chiesa missionaria e il cammino pastorale della nostra chiesa diocesana è tutto orientato a realizzare quella “conversione pastorale in senso missionario” che costituisce il programma del pontificato di papa Francesco presentato nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”. Martedì scorso nel discorso di apertura del mese missionario Papa Francesco a questo proposito ha detto: «Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9,7). Ama una Chiesa in uscita. Ma stiamo attenti: se non è in uscita non è Chiesa. La Chiesa è per la strada, la Chiesa cammina. Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più. Una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Questa Chiesa sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito».
Essere Chiesa missionaria (o con una espressione molto cara a Papa Francesco “Chiesa in uscita”) pertanto non vuol dire progettare grandi iniziative, ma vivere il Vangelo nei nostri ambienti di vita, andando incontro con amore agli uomini e alle donne di questo nostro tempo e di questa nostra terra, accogliendoli con le loro fragilità e contraddizioni. A tutti è possibile partecipare alla missione della Chiesa: basta solo dare il sapore del Vangelo alla nostra vita di ogni giorno. Non basta infatti non fare il male per essere buoni cristiani, bisogna diffondere l’amore di Gesù mostrando con il nostro comportamento che siamo amati da Dio. Nel discorso citato Papa Francesco afferma che il contrario di missione è l’omissione e spiega in che cosa consiste l’omissione: «Pecchiamo di omissione, cioè contro la missione, quando, anziché diffondere la gioia, ci chiudiamo in un triste vittimismo, pensando che nessuno ci ami e ci comprenda. Pecchiamo contro la missione quando cediamo alla rassegnazione: “Non ce la faccio, non sono capace”. Ma come? Dio ti ha dato dei talenti e tu ti credi così povero da non poter arricchire nessuno? Pecchiamo contro la missione quando, lamentosi, continuiamo a dire che va tutto male, nel mondo come nella Chiesa. Pecchiamo contro la missione quando siamo schiavi delle paure che immobilizzano e ci lasciamo paralizzare dal “si è sempre fatto così”. E pecchiamo contro la missione quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati».
Ho ripreso questi passaggi del discorso di papa Francesco perché mi sembrano particolarmente adatti anche per noi, in quanto individuano stati d’animo e comportamenti diffusi, che ci bloccano e ci impediscono di prendere il largo e di vivere il coraggio e la gioia della fede. Nella lettera pastorale sottolineo l’importanza dell’accompagnamento, affermando che la prima forma di accompagnamento è proprio il saperci incontrare, il condividere, il sostenerci a vicenda nella fatica di credere e di testimoniare. Deponiamo allora i pregiudizi, le incomprensioni, le divisioni e i sospetti: non abbiamo paura di farci vicini, di aprirci ai nostri fratelli di fede. L’unità delle nostre comunità e della nostra chiesa diocesana sarà la prima e fondamentale testimonianza missionaria.