La solennità odierna ci invita a onorare in un’unica celebrazione tutti i santi del cielo, per rinnovare la consapevolezza che ogni cristiano, in forza del battesimo, è chiamato a farsi santo. La parola di Dio che abbiamo ascoltato nelle tre letture ci spiega chi sono i santi che oggi veneriamo e quale via hanno percorso.
Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Giovanni ci mostra una moltitudine immensa (144.000): è il popolo santo di Dio che ha raggiunto la meta del suo cammino. Avvolti nella veste candida, simbolo della luce di Dio, e stringendo nelle loro mani le palme, che richiamano il trionfo sulle forze del male, si pongono in processione davanti al trono di Dio e dell’Agnello, che rappresenta il Cristo crocifisso e risorto: essi hanno superato la grande prova della persecuzione (hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello) e ora sono con Cristo nella gloria.
Nella seconda lettura sempre l’Apostolo Giovanni ci spiega come la santità sia strettamente legata alla filiazione divina: siamo chiamati alla santità perché siamo figli di Dio. Di conseguenza la santità non è frutto dei nostri sforzi, ma è una conseguenza dell’Amore che Dio ci dona e a cui noi siamo invitati a corrispondere.
Si diventa santi allora facendoci discepoli di Gesù: è lui il Figlio che ci insegna a vivere da figli di Dio praticando le beatitudini del Vangelo: è questo il messaggio del brano di Matteo che abbiamo appena ascoltato.
Ogni epoca della storia della Chiesa ha avuto un suo modo proprio di cercare la santità: dopo il tempo delle persecuzioni, in cui la forma della santità cristiana si esprimeva nel martirio, c’è stato il tempo degli eremiti e dei monaci, in tempi più vicini a noi la santità si è realizzata nell’esercizio eroico della carità e dell’opera educativa e così via nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Quale tipo di santità è necessario alla chiesa di oggi? Qual è la via per diventare santi oggi?
Per rispondere a questa domanda vorrei riprendere quanto ho scritto nella lettera pastorale «Lascerò in mezzo a voi un popolo umile e povero», un teso con cui mi propongo di leggere alla luce della Parola di Dio la situazione che la nostra chiesa sta vivendo in questo momento storico. La santità a cui siamo chiamati oggi è strettamente legata alla situazione culturale e sociale in cui la Chiesa si trova a vivere: una situazione di povertà, non solo materiale, ma anche di risorse umane, povertà anche di fedeli stessi. Dopo la pandemia infatti la comunità cristiana si scopre rimpicciolita, con scarsa rilevanza nella società. Tutto questo è fonte di delusione e di scoraggiamento. Tuttavia è proprio dentro questa situazione che siamo chiamati a vivere la nostra vocazione di cristiani e a farci santi. Dobbiamo prendere sul serio la prima beatitudine «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli». La povertà nella logica del Vangelo è la condizione per fare nostro il Regno di Dio: solo chi accetta di essere povero può accogliere la buona notizia del Regno e diventarne testimone credibile. Questo significa mettere da parte la logica del mondo, per cui vale solo chi è potente e può contare sull’abbondanza dei mezzi materiali, per scoprire la fecondità del piccolo seme da cui nasce un grande albero e del pugno di lievito che fermenta tutta la pasta.
Dei cristiani che siano tali non solo di nome e per tradizione, ma che vivano il Vangelo sono un dono per il mondo di oggi, un mondo che ha un bisogno disperato di dare un senso agli eventi della storia (cf la pandemia e tutto che sta comportando) e di trovare le motivazioni per un impegno comune (pensiamo ai problemi del clima, alla fame e al sottosviluppo di gran parte dell’umanità). Solo il Vangelo può offrire questo senso e dare queste motivazioni, ma c’è bisogno di qualcuno che lo viva, perché il Vangelo non è una teoria, è una Parola che chiede di farsi «carne»: ecco perché il mondo oggi più che mai ha bisogno di santi, cioè di cristiani che incarnino il Vangelo nella loro vita.